Lavorare in Apple: un sogno appena nato… e già finito! [LE NOSTRE RIFLESSIONI]

Quello di cui parliamo oggi è un avvenimento che ci ha fatto profondamente riflettere e di cui vogliamo rendere partecipi tutti voi, nostri lettori e voce importante dell’Italia iPhoniana. A volte le vicende degli altri ci aiutano a capire meglio alcuni aspetti di noi stessi di cui altrimenti non saremmo consapevoli. E la storia che vi raccontiamo qui, finita addirittura sui giornali è una di quelle che fa aprire un grosso dibattito sul chi abbia ragione o torto riguardo questioni delicate come il lavoro, le aspettative di un’azienda e il rapporto tra manager e dipendenti.

Ma ricordiamo in breve cosa è accaduto: quattro dipendenti dell’Apple Store di Torino sono stati “licenziati” con una breve e sintetica motivazione : “Non siete abbastanza allineati al pensiero Apple”.  Naturalmente lungi da noi prendere le parti in modo soggettivo degli uni o degli altri protagonisti di questa storia. Ci limiteremo a esporvi i fatti, così come ci sono stati descritti dai protagonisti, raccontandovi però alcune delle esperienze che (il sottoscritto) ha avuto, nel tempo, negli oltre 50 Apple Store visitati in giro per il mondo, tra culture, e soprattutto, mentalità diverse.

Nel numero del 18 ottobre del giornale La Stampa e del Corriere della Sera, è stato pubblicato un dettagliato articolo sull’accaduto e nel quale i quattro ragazzi hanno denunciato in modo evidente, di essere stati vittima di un’ingiustizia da parte di Apple. Ma partiamo dal principio.

A inizio settembre i 4, insieme ad altri 66 giovani, partecipano a un corso di formazione presso Apple, per essere preparati alla tipologia del lavoro che si svolge nei famosi store della Mela, e soprattutto in vista dell’apertura, di lì a poco, del terzo Apple Store italiano, quello di Torino appunto. L’atmosfera, sin dall’inizio, è ottima, persino i manager e gli istruttori si dimostrano affabili, piacevolmente informali, disponibili, sorridenti… insomma, in perfetto stile Made in Cupertino che conosciamo tutti. Applausi di benvenuto, cariche emotive positive a tutti i partecipanti, per motivarli e farli sentire parte di una grande famiglia, ecc.

A tutti, sin da subito, viene consegnato un libricino, una sorta di “Tavola di Mosè” con i comandamenti Apple, con le linee guida della loro filosofia – dall’attenzione per il cliente nel punto vendita alla gestione della relazione commerciale post-vendita -, ma soprattutto con le caratteristiche che il personale dovrebbe avere.

Senza soffermarci su questo corso di cui non riteniamo corretto svelare i dettagli, arriviamo al giorno dell’apertura. Grande emozione, molto entusiasmo e soprattutto, per molti, un sogno che si avvera: quello di lavorare finalmente per una delle aziende più amate al mondo, simbolo di serietà, marketing perfetto e attenzione al dettaglio. Indossare l’ormai famosa maglietta azzurra diventa, in un istante, una seconda pelle, e la passione nel lavorare una spontanea e naturale reazione all’ambiente creato intorno ad Apple.

Tutto procede per il meglio, i clienti sono entusiasti e i 70 ragazzi, tutti in prova per un periodo di tempo, danno il meglio di sè impegnandosi e cercando di apprendere in fretta tutte le dinamiche dello store. Prima del termine del suddetto periodo di prova, però, succede qualcosa: uno dei 70 ragazzi, Marco Savi, assunto IN PROVA come addetto alla vendita e all’assistenza clienti, viene “licenziato” senza “apparenti” motivazioni valide, con un risolutivo e banale: “Non hai sposato in pieno il pensiero Apple”.

«Ho lasciato un’attività in proprio perché per me, che sono nel settore da vent’anni, Apple era il punto di arrivo della carriera. Invece è stata una grandissima delusione. Ci hanno fatto fare un corso incentrato non sulla parte tecnica, ma sulla filosofia dell’azienda. A ogni dipendente è stato consegnato un libretto tascabile, il «Credo» dell’azienda, che inizia così: «Per noi di Apple le persone sono la risorsa più importante, la nostra anima». «Niente di più falso: durante i corsi di formazione ho espresso il mio parere su certe strategie di vendita, e i manager se la sono legata al dito. In Apple chi pensa con la sua testa è fuori dal sistema. Nello store eravamo tutti un po’ allo sbaraglio, senza nozioni sulle procedure di cassa e dei finanziamenti». Eppure l’entusiasmo era a mille.«Il primo giorno ho lavorato più di 12 ore, e a settembre ho fatto 48 ore di straordinari. Poi sono cominciati i problemi: un giorno ho perso la voce e stavo male, ma i manager non mi hanno lasciato andare a casa, spostandomi in magazzino. Un collega è stato ripreso perché ha fatto una pausa di cinque minuti per prendere una pastiglia per il mal di testa. E lei ha segnalato questi problemi ai suoi capi? «Ho fatto quello che dovevo, per questo mi sento in pace con la coscienza». Non è che invece ha combinato qualche casino? «Per carità, non sono uno di quelli che rompono le scatole. Io ero felice di quel lavoro. Tutti i giorni mi facevo 75 km in auto per andare e 75 km per tornare. Sono entrato alla Apple perché quella è la mia passione. Una specie di mito. Non avrei mai fatto qualcosa contro un’azienda che continuo ad apprezzare anche adesso, nonostante quello che è successo. Lo scorso martedì, appena arrivato al lavoro – continua Savi – uno dei manager mi ha comunicato che non avevo superato il periodo di prova. Ci sono rimasto di sasso. Quando ho chiesto le motivazioni, prima mi è stato detto che non ero stato abbastanza “caloroso” nel salutare i clienti, e poi da un suo collega che non avevo sposato in pieno il “pensiero Apple”». I cinque manager dell’Apple di Grugliasco, dice Savi, non hanno un capo. «Come fa, chi proviene da settori che con la tecnologia non hanno nulla a che fare, e per di più in prova come noi, a giudicare l’operato di persone che in genere sono esperti in informatica? È qui che sta la criticità. Ora tutti i colleghi vivono con la paura di essere licenziati da un momento all’altro». E adesso? «Aspetto che si faccia vivo qualcuno della Apple. Poi vedremo». Ha sentito i suoi ex colleghi? «Sì, mi dicono che al lavoro c’è un’atmosfera molto tesa. Tra l’altro, hanno distribuito da poco le schede di valutazione sui manager. Dopo quello che è successo, non sanno proprio come comportarsi» ( tratto da “La Stampa” e dal “Corriere della Sera” del 18 ottobre 2010 )

Qualche giorno dopo anche altri 3 dei 70 nuovi Apple Boys ricevono lo stesso trattamento. Convocazione in ufficio, breve comunicazione: “Ci spiace, ma non siete allineati al pensiero Apple”, e invitati a lasciare lo Store, a detta loro addirittura dal retro.

Anche Alessandro Montagner, 22 anni, è stato licenziato dall’Apple Store di Grugliasco durante il periodo di prova. Il ritornello, come sottolinea anche La Stampa (che ha portato alla luce la vicenda), è lo stesso: «Non mi hanno dato nessuna spiegazione valida». Secondo il giovane, però, la decisione in questo caso sarebbe legata alla sua scelta di frequentare l’Istituto Europeo di Design (lo Ied). Incompatibilità di orari, forse? «Niente affatto – assicura – sarei riuscito a gestirmi. E poi io avevo avvisato l’azienda dal primo colloquio di lavoro. Mi avevano detto che non ci sarebbero stati problemi. Anzi, che erano felici di favorire la crescita professionale dei dipendenti». Le cose, a quanto pare, sono andate diversamente. «Un giorno sono stato convocato in ufficio e mi hanno annunciato l’intenzione di non riconfermarmi. Nessuno mi ha spiegato i motivi». È uscito anche lei dal retro? «Me lo hanno chiesto. Ma ho preferito andarmene dalla porta principale. A testa alta». ( tratto dal “Corriere della Sera” del 18 ottobre 2010)

Sinceramente questo episodio, venuto a galla come una boa grazie alla stampa, ci lascia indubbiamente un pò perplessi, e questo per tre motivi principali:

  • Apple, notoriamente, e agli occhi di tutti, è sempre stata un’azienda che ispira armonia, trasparenza e soprattutto stile.

  • Gli Apple Store sono una realtà ancora embrionale nel nostro Paese, questo è vero, ma quello che ci si immagina è un ambiente sano e corretto, come tutti siamo abituati a pensare ci sia tra quelle mura.

  • La gioia, la passione e l’entusiasmo che si respira negli Apple Store fà sì che ci si aspetti molta più umanità e chiarezza nell’affrontare una situazione spiacevole come un licenziamento. “Vi chiediamo la cortesia di uscire dal retro” non collima esattamente con queste aspettative.

Detto questo vorrei dunque porre alla vostra attenzione alcune mie esperienze negli Apple Store in giro per il mondo. Per il mio lavoro mi trovo spesso all’estero, ed essendo un appassionato Apple da molti anni, non resisto mai alla tentazione di visitare un Apple Store di ogni città in cui sono stato (dove è presente naturalmente).

L’atmosfera che si percepisce entrando in un Apple Store qualsiasi è pressochè la stessa: veniamo “abbracciati” da dipendenti sorridenti, positivi, competenti e soprattutto veniamo messi a nostro agio. Si possono usare pressochè tutti i prodotti e per quanto tempo si vuole. C’è chi entra in un Apple Store per provare un iPhone, per familiarizzare con il mondo Mac o anche solo per controllare la posta. Non c’è nessun limite di sorta se non quello dell’educazione e del buon senso nel lasciare spazio anche agli altri. Nessuno ci mette fretta, anzi, ci viene chiesto più volte, e da più persone, se abbiamo bisogno di aiuto, di delucidazioni o anche solo di un buon consiglio amichevole. Pochi negozi al mondo sono così. Il successo degli Apple Store, se vogliamo, è spiegato proprio da questi aspetti e, fino a oggi, ci veniva piuttosto difficile pensare a delle spaccature dietro le quinte, e a delle problematiche altrimenti invisibili.

Dunque io credo una cosa: se lo stile Apple e il Warm Mode (calore trasmesso ai clienti ) sono uguali in tutto il mondo, non lo è invece il modo di lavorare di chi sta a capo di questi store. L’approccio al personale e il loro trattamento sono profondamente influenzati dalla cultura e dalla mentalità di coloro che se ne occupano.

Ricordo l’Apple Store di Londra, quest’estate, quando sono stato in fila al day one di iPhone 4. Un posto magico, come sempre, reso ancora più speciale dall’innata gentilezza inglese e dallo stile British che si respira. Dunque sentite questa: avevo preso (molti di voi lo ricordano) due iPhone 4 e un’ impacciata commessa con gli occhi a mandorla non sapeva minimamente effettuare la transazione con il POS portatile di cui era fornita. Prendeva tempo, si guardava intorno e chiedeva scusa. A un tratto si avvicina uno dei manager che lancia li’ una battuta del tipo “Se strisci un’altra volta la carta del signore prende fuoco” e con la massima serenità gli ha tolto di mano il Pos e ha effettuato lui il pagamento. Io, cliente, ho percepito l’imbarazzo della ragazza, ma allo stesso tempo l’assoluto stile e capacità manageriali del manager stesso, che invece di riprenderla, quando mi sono allontanato, le ha dato una pacca sulla spalla e ha stretto il pugno per incoraggiarla regalandole un sorriso sincero. Ho avuto i brividi.

Stessa “bolla di sapone” di incredibile armonia l’ho assaporata a Cupertino, all’Apple Store per eccellenza, all’interno del Campus Apple. Lì addirittura, ricordo di aver visto uno dei manager mandare in pausa uno dei ragazzi dello store, sostituendolo durante un mio acquisto (un Mac Mini e un Apple Tv + altri accessori). La cosa mi stupì alquanto, forse perchè nella nostra “malata” visione tutta italiana della gerarchia, le distanze da mantenere con i capi sono assolutamente un must. Ma non è sempre così.

Apple è arrivata anche in Italia, prima a Roma, poi a Milano, Torino, Bergamo e chissà quanti altri store apriranno nei prossimi mesi. Ci piace pensare che quelle bellissime scene a cui ho assistito a Londra e a Cupertino possano essere non solo simboliche di un singolo episodio, bensì due esempi di come lavorare in sintonia, clima amichevole e rispetto reciproco. Noi italiani in fondo siamo un grande popolo di romantici, sognatori, sentimentali quando serve, generosi con chi ha bisogno, sensibili e pieni di passione. Ma abbiamo anche tanti difetti, alcuni dei quali si ritrovano poi soprattutto nel lavoro: c’è chi è carrierista e allora pensa solo a se stesso, c’è chi è convinto di valere più degli altri e allora si insinuano nella sua mente pensieri come “prima o poi se ne accorgeranno qui che io valgo” e ancora, cosa più importante, troppo spesso chi si trova al “comando” di un azienda o di un gruppo di dipendenti, si sente troppo superiore, innalzando tra se e i suoi “sottomessi” una specie di cortina invalicabile adottando atteggiamenti sbagliati che portano solo a un clima di tensione stroncando a volte lo spirito collaborativo e l’entusiasmo dei dipendenti stessi. Dunque, tornando ad Apple, forse si inserisce proprio in questo discorso lo stupore di alcuni nell’aver sentito una vicenda del genere. Si, perchè nell’immaginario comune in Apple non succedono queste cose.

Allora come si spiegano le tante parole negative usate da Marco nel descrivere la sua (breve) esperienza in Apple? Nel suo racconto una cosa però si nota subito: gli ottimi presupposti iniziali, la grande eccitazione, felicità, adrenalina del day one e il bellissimo rapporto tra i colleghi. Tutte cose che vanno poi a scontrarsi con il triste epilogo del licenziamento e con il (comprensivo) strascico polemico dettato dalla delusione, dalla rabbia e dalla convinzione di aver subito un’ingiustizia.

Come detto all’inizio, non siamo qui per dare ragione a Marco, nè per screditarlo. Il nostro obiettivo era quello di raccontarvi l’episodio dandovi come sempre lo spunto per riflettere e soprattutto per cercare di capire insieme l’accaduto. Avranno sbagliato i manager, considerando Marco un elemento polemico, troppo preparato e di conseguenza pericoloso per il loro ruolo di “capi”? Avrà sbagliato Marco a intervenire troppe volte facendo notare cose assolutamente vere, ma risultando fuoriluogo, essendo in prova? Magari era meglio aspettare di aver superato il periodo “sotto i riflettori” prima di partecipare attivamente a migliorare la qualità del lavoro dando preziosi consigli e suggerimenti? O, ancora, il fatto che tutti i manager provengano da realtà non Apple, e quindi incredibilmente diverse, è stato determinante in questa storia?

Non vogliamo rispondere. Non vogliamo farlo perchè per noi non ha ragione nessuno. C’è da dire però che Apple, così come tutte le altre aziende, ha il pieno diritto , dopo il periodo di prova, o durante, di cessare il rapporto senza nessuna comunicazione preventiva e in qualche modo è proprio quello che è successo anche in questa vicenda. Come è anche vero che Apple non sceglie i manager per le loro conoscenze teniche ma per l’abilità nel gestire uno store e il personale. La notizia effettivamente dunque non esiste, la cosa è venuta fuori solo e semplicemente perchè si tratta di Apple. Questo ci sembra chiaro. Resta il fatto che 4 ragazzi hanno perso il loro “futuro” posto di lavoro senza ricevere una motivazione valida, chiara, leale e (sebbene a malincuore) accettabile. E questo dispiace, certo. Personalmente credo anche che proprio il fatto che il corso di formazione sia così incentrato sulla cementazione di uno spirito di gruppo inattaccabile, all’insegna dei sorrisi, della serenità e dell’entusiasmo sia determinante nella delusione esponenziale che scatta poi al momento della NON CONFERMA del rapporto.

Che dire? Sicuramente l’amarezza di Marco è comprensibile, c’è tutta la delusione di un uomo che si è sentito tradito da un’azienda che stima, che apprezza da sempre e da cui non si è sentito trattato in modo corretto, giusto e trasparente. Come biasimarlo? E certamente non possiamo che augurare a lui e agli altri 3 ragazzi la miglior fortuna possibile con gli sviluppi di questa vicenda e per il loro futuro.

E ora come sempre lasciamo la parola a voi, raccontandoci le vostre esperienze e le vostre convinzioni di come dovrebbe essere il rapporto ideale tra chi “comanda” e chi “esegue”.

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