Perchè Siri è ancora in fase “Beta”?

Siri, una delle funzioni più pubblicizzate da Apple nell’ultimo anno e peculiarità dei dispositivi di punta dell’azienda, è ancora in versione beta ad oltre 12 mesi dal lancio ufficiale. Perchè tanto tempo per rilasciare la versione definitiva, e perchè Apple non ha aspettato prima di far “testare” Siri ai suoi utenti?

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L’assistente personale Siri è stato sviluppato nel corso degli ultimi 10 anni, ma ancora non siamo giunti ad una versione “finale”. Sappiamo, però, che Apple vieta l’uso della parola “beta” per le applicazioni su App store. Inoltre, la stessa Apple ha speso milioni in spot pubblicitari dove viene mostrato un prodotto, Siri appunto, ancora in versione beta. Alla luce di questi fatti, è lecito per Apple continuare a definire Siri una “beta”?

La denominazione “beta” è stata inventata da IBM nel 1950, con una indicazione precisa sul suo significato: mentre la parola “alpha” era utilizzata per far riferimento ad un software non ancora ufficialmente annunciato, il termine “beta” stava ad indicare un software annunciato, ma non ancora commercializzato. La fase di “beta testing” identificava il rilascio del software ad un gruppo ristretto di utenti, il cui scopo era quello di appurare se il software fosse o meno pronto per la vendita.

Al giorno d’oggi le cose sono molto cambiate, e “beta” è diventato un termine che sta a significare qualsiasi cosa le varie aziende vogliono che significhi. Non esiste un ente preposto a controllare il corretto utilizzo del termine, né esiste al mondo una legge che lo regoli, malgrado la parola “beta” collegata ad un software può essere usata dall’azienda in sede giudiziaria per difendersi dalle accuse degli utenti.

Normalmente, le aziende decidono di pubblicare la versione beta di un software perchè sentono il bisogno di abbassare le aspettative e proteggersi dalle critiche, ma anche per promuovere le vendite dello stesso software (a volte la fase “beta” viene usata per creare attesa attorno ad un servizio o un software non ancora disponibile). Ma Apple non deve fare questo calcolo: Siri è una funzione integrata in iOS, non un prodotto da vendere. Quindi non c’è nessun aspetto negativo, per Apple, di nascondere Siri dietro l’etichetta “beta”. In pratica, Apple ha tutto il diritto di inserire l’etichetta “beta” a Siri e a ogni altro suo servizio offerto agli utenti. Se agli utenti non piace, allora sono liberi di acquistare un altro telefono. Ma bisogna comunque prendere in considerazione alcune cose.

In primis, Apple vieta l’utilizzo della parola “beta” su App Store. In pratica, nessuno sviluppatore può pubblicare un’applicazione recante la denominazione “beta”, in quanto Apple vuole che sullo store siano rilasciati solo software finiti. Se un dev vuole fare quello che Apple ha fatto con Siri, semplicemente non può. Le strade sono quindi due: o lo sviluppatore ritarda la pubblicazione dell’app fino a quando non viene considerata ultimata, oppure la pubblica lo stesso su App Store senza indicare che si tratta di una beta”, con tutti i rischi che ne conseguono. E, ne siamo sicuri, questo secondo caso è quello più frequente. In pratica, Apple si protegge dalle critiche e dalle class action (lo vedremo tra poco) con l’uso del termine beta”, ma nega tale possibiltà agli sviluppatori App Store.

In secondo luogo, Apple utilizza Siri in alcuni spot ad alto budget, anche per lanciare i nuovi iPhone. Insomma, l’azienda usa Siri per vendere più dispositivi. Non a caso, negli spot dove protagonista è l’assistente virtuale di Apple, sono state scelte come testimonial persone del calibro di John Malkovich, Martin Scorsese, Samuel L. Jackson e Zooey Deschanel. Testimonial di un servizio “beta”. Proprio in virtù di tali spot, un uomo di New York denunciò Apple per pubblicità ingannevole, dato che nella realtà Siri non faceva tutto quello che veniva mostrato nei vari spot. Apple si difese affermando che Siri era in versione “beta” e che quindi non si poteva applicare la regola relativa alle aspettative di qualità derivanti dallo spot stesso. Il tribunale diede ragione ad Apple.

Ma qual è la definizione legale di “beta? Può un tribunale accettare la tesi di una difesa che si basa sul fatto che un prodotto è ancora in fase “beta”, quando tale parola non ha alcuna definizione giuridica o legale? Sicuramente si è trattato di una situazione senza precedenti. In pratica, Apple ha speso milioni di dollari per pubblicizzare una funzione cardine di un prodotto da vendere (l’iPhone), consapevole che molte delle caratteristiche di tale funzione non erano ancora funzionanti. Lo scopo di uno spot, però, è quello di convincere gli utenti ad acquistare un prodotto, e se Siri è stato l’elemento che più li ha convinti all’acquisto, allora qualcosa non quadra. Fermatevi un attimo e pensate a questo: avete mai visto un prodotto o un servizio “beta” pubblicizzato in prima serata sui principali canali televisivi?

Insomma, da una parte non si può criticare la scelta di un’azienda di lasciare in fase “beta” un servizio che comunque non viene venduto, dall’altra, però, non è corretto spendere milioni di dollari per pubblicizzare una funzione non ancora completa e spacciarla come tale.

Infine, e qui siamo al terzo punto, Siri è in sviluppo da dieci anni. Tale tecnologia venne sviluppata originariamente per il Pentagono nel 2003, poi è diventato un progetto privato fin quando Apple non decise di acquistarlo nel 2010 e di implementarlo sull’iPhone 4S nell’ottobre del 2011. Apple ha quindi lavorato per oltre un anno e mezzo su una tecnologia esistente dal 2003. Ma togliamo pure dal conto gli anni dal 2003 al 2010. Ne rimangono 3: quanto ancora deve durare la fase di test per Siri?

Insomma, forse usare ancora tale denominazione in Siri è scorretto, impreciso e incoerente per Apple. Cosa ne pensate?

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