Storia dell’iPhone: da progetto segreto a rivoluzione

Alcuni membri del team che ha lavorato al primo progetto Apple hanno raccontato a Fast Company una serie di curiosità molto interessanti, che fanno luce sulla nascita di uno dei dispositivi più importanti degli ultimi anni. L’iPhone.

PrototipoIphone

Quello che emerge dal racconto è l’alto livello di segretezza imposto dai dirigenti Apple, Steve Jobs in primis. Il veto di parlare con altri di ogni aspetto del progetto riguardava ogni membro dei vari team, anche quelli che si occupavano solo del software o di alcuni parti dell’hardware e che quindi non avevano idea del progetto finale.

Apple, comunque, prima di lavorare ad uno smartphone aveva in mente di realizzare un tablet. Questo primo tablet aveva le dimensioni dell’attuale iPad, ma presentava un cavo molto spesso che si collegava al Mac. L’interfaccia del dispositivo era risposta ad un angolo del display, perchè l’idea iniziale era quella di integrare un personal computer in un tablet.

Già da quelle prime bozze, l’industrial designer Duncan Kerr parlava di multitouch, con frasi come “sarebbe fantastico poter sfogliare le pagine come in un vero libro” o “mi piacerebbe poter ingrandire lo schermo con piccoli gesti”. Poche settimane dopo queste prime frasi, Duncan e il suo team presentarono il primo concept di schermo multi-touch, che provocò l’entusiasmo tra gli altri dipendenti Apple che ebbero modo di vederlo.

Malgrado questi grandi passi avanti, il tablet – quello che sarebbe poi diventato l’iPad – non era ancora maturo e non soddisfaceva i requisiti di perfezione e qualità voluti da Apple. Per questo motivo, quasi naturalmente, il progetto tablet si trasformò in quello che sarebbe poi diventato l’iPhone.

Il primo team “segreto” a lavorare allo smartphone Apple venne creato nel 2005. L’idea iniziale non era quella di usare uno schermo touch, ma di integrare funzioni telefoniche negli iPod dell’epoca. Tony Fadell ricorda: “Cominciammo con un iPod Mini e costruimmo un telefono con una ghiera circolare che funzionava alla stregua di un apparecchio a disco”. Già, proprio simile a quello che Steve Jobs – tra le risate generali – mostrò ironicamente prima di presentare il vero iPhone durante il Keynote del 2007.

Il nome in codice del primo iPhone era Purple, poi trasformato da Scott Forstall in P1. Proprio Forstall propose, quale responsabile software, di cercare di integrare una sorta di Mac OS sul telefono. Questa idea fu accantonata, ma lo stesso Forstall propose il P2, un telefono non “iPod” ma con schermo “touch”. A Steve Jobs questa idea piacque.

Da quel giorno, i vari team lavorarono autonomamente al software e all’hardware e nessuno sapeva come sarebbe stato il prodotto finale. Pensate che molti di coloro che lavorarono oltre due anni al P2 scoprirono solo nel 2007, quando Steve Jobs lo presentò al mondo, quello che era l’iPhone.

Per sviluppare la forma dell’iPhone vennero utilizzati dei simulatori su vecchi Mac: “Sapevamo che doveva passare del tempo prima di avere l’hardware reale, quindi sviluppammo un simulatore su un PowerMac G5 isolando il software dal resto di Mac OS. Dopo essere riusciti a far funzionare questo simulatore, cercammo il peggiore Mac possibile sul quale far funzionare il tutto, poiché sapevamo che sarebbero potute esserci alcune limitazioni in termini di performance, non visibili se le emulazioni erano avviate su un computer con un super processore. Ecco quindi che il peggiore Mac sul quale simulare l’iPhone era un PowerMac G3 bianco e blu.  Appena completati questi test, ricevemmo il prototipo di iPhone, anche se ancora non quello con le dimensioni corrette; le parti assemblate insieme denominate Freescale MX-31, occupavano metà del tavolo de laboratorio di Forstall e comprendevano una scheda per la prototipazione hardware completa di modem, antenna e display. Compilammo tutto e lo facemmo funzionare sull’MX-31; questo fu il nostro Eureka”.

Per quanto riguarda l’interfaccia, chi si occupava di forma e hardware lavorava su prototipi con grafica orribile e vecchia, fatta di pallini rossi e blu. Il team di designer software, invece, lavorava sull’interfaccia reale, con la super visione di Steve Jobs, ma non conosceva la reale forma dell’iPhone. La situazione divenne quasi ingestibile quando chi conosceva l’interfaccia reale doveva dare indicazioni a chi lavorara al software, magari disegnando le icone e gli altri elementi reali su una lavagna. Steve Jobs fu convinto da Forstall a dare accesso a tale interfaccia anche ad altri ingegneri, ma il loro numero fu sempre molto limitato. Tanto che spesso, nella stessa stanza, i vari ingegneri erano divisi da una tendina affinchè nessuno potesse spiare…

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