USA Today aveva riportato che l’FCC (Federal Communications Commission), un organo governativo degli Stati Uniti che si occupa di affari come banda larga, concorrenza, media e sicurezza nazionale, aveva richiesto ufficialmente spiegazioni a Apple, AT&T e Google riguardo il rigetto dell’applicazione ufficiale per iPhone Google Voice.
Apple ha risposto con un comunicato sul sito ufficiale Apple.com:
Contrariamente a quanto riportato dai media, Apple non ha rifiutato l’applicazione Google Voice e sta continuando ad esaminarla. L’applicazione non è stata approvata poiché altera l’ esclusiva esperienza-utente di iPhone, rimpiazzando la funzionalità di telefonia nativa integrata nel device e l’interfaccia utente Apple, con la propria interfaccia per telefonate, messaggi e mail vocali. Apple ha impiegato molto tempo a studiare un’interfaccia così innovativa e distinta per fornire queste funzioni base dell’iPhone.
Nel comunicato Apple informa anche che AT&T non ha nessun ruolo nella vicenda Google Voice: infatti il colosso telefonico statunitense richiede soltanto che i servizi VOIP non vengano utilizzati su propria rete cellulare senza autorizzazione, permettendo l’utilizzo di tali servizi solo tramite WIFI.
Circa il processo di approvazione delle app, Apple risponde che in tutto sono impiegati dall’azienda 40 esperti revisori a tempo pieno e che prima di approvare o meno un’app è richiesta la revisione da parte di almeno 2 revisori, in modo da applicare le stesse regole per tutti.
Infine Apple rivela che per le questioni più complesse è attivo anche un consiglio esecutivo di revisione.
Google si trova coinvolta in una situazione simile anche sulla propria piattaforma Google Android, dove l’applicazione Skype non è stata approvata dall’azienda di Mountain View. BigG si difende sostenendo che in qualunque momento possono decidere di bloccare i servizi VOIP sotto richiesta degli operatori di telefonia.
In America i Googlefonini vengono distribuiti da T-Mobile, che però in questo caso ha negato qualsiasi coinvolgimento nel caso Skype.