Il 20% dei videogiocatori, a oggi, è diversamente abile, con diverse accezioni. Sono diversi i videogiochi e i device mobile che vanno incontro a tali problematiche cercando di eliminare le barriere e implementando nuove soluzioni. Nello specifico i piccoli schermi e le interfacce touch hanno aiutato moltissimo a eliminare le barriere e a implementare alternative per i diversamente abili. C’è, però, qualcosa che ancora manca all’industria videoludica, a oggi sicuramente il medium di intrattenimento più capace di supportare e andare incontro alle necessità dei diversamente abili, dai non vedenti a chi ha problemi di mobilità fino anche a chi ha sofferto di ritardo dell’apprendimento del linguaggio.
Alla GDC ’15, che si sta tenendo in questi giorni a Colonia, alla vigilia della Gamescom, c’è stato modo di affrontare l’argomento in uno speech tenuto da Ian Hamilton, un game designer londinese che da anni cerca di evitare l’esclusione dai videogiochi dei disabili. Non parliamo di accessori, come quello creato non troppo tempo fa da Ben Heck che ha lanciato sul mercato un controller monomano, per venire incontro a chi ha perso un arto, ma proprio di filosofie legate al rendere più accessibile il videogioco. Parliamo di clamorose sviste figlie di una superficialità dei producer, dei programmatori, di chi implementa gli ultimi dettagli in un prodotto da spedire al dettaglio senza pensare alla nicchia, a quel 20% che potrebbe riscontrare difficoltà nel vivere l’esperienza videoludica offertagli.
Partiamo col parlare della statistica riguardante i sottotitoli: il 79% dei videogiocatori decide di affidarsi ai sottotitoli, per non perdere nemmeno una parola dei dialoghi e immergersi in un’esperienza anche di lettura; il restante 21% invece vuole un’esperienza totale e non ammette che lo schermo sia inquinato dalla presenza di stringhe di testo. Va da sé che le aziende – sempre meno, per fortuna – ragionano in funzione anche dell’esperienza totale, desiderosi di offrire qualcosa che non sia inficiato dai dialoghi a schermo: nel peggiore dei casi, quindi, si consegna all’utente un prodotto che per i sordomuti è inutilizzabile, è incomprensibile e privo di qualsivoglia sfumatura nella narrazione, per uno scenario che non potrà mai essere compreso o al massimo solo intuito. Nei casi migliori sarà possibile ritrovarsi con un font sbagliato, con una grandezza troppo piccola, con colore troppo chiaro o poco leggibile, o magari con un background che va a fondersi, erroneamente, con i sottotitoli, che non usufruiranno del giusto contrasto per creare uno stacco tra le due realtà. Un altro aspetto che spesso, tra l’altro, dà noia anche ai videogiocatori privi di disabilità è l’errata gestione del voice acting, realizzato separatamente dai sottotitoli creando un canale doppio, spesso non in sincrono o ancora peggio con parole cambiate e senso stravolto.
L’esaltazione da parte di Ian arriva per iOS: grazie al VoiceOver, attivabile dalle impostazioni del proprio iDevice, è possibile venire incontro a chi soffre di cecità, ai non vedenti che non possono logicamente utilizzare il touch screen del proprio iPhone in condizioni normali e hanno bisogno di una guida, anche in assenza del braille. Sono diversi i giochi per mobile, tra l’altro, che stanno lavorando sul contrasto delle immagini, venendo incontro agli ipovedenti, che possono comunque mettere in risalto gli oggetti con i quali interagire grazie a un gioco di ombre e di contrasti delle immagini. Infine l’aspetto motorio, per chi ha problemi di movimento ma anche arti mancanti per incidenti o altro: piuttosto che pensare a delle idee legate a nuovi accessori, come il succitato controller di Ben Heck, Ian Hamilton ha sottolineato l’importanza della rimappatura dei controlli: è la storia di un ragazzo, oggi quasi trentenne, che all’età di 16 anni, dopo un incidente, ha perso il braccio destro, iniziando ad avere non pochi problemi nel videogiocare. Grazie alla rimappatura del proprio controller ha potuto adattare tutti i tasti così da utilizzarli con la sola mano sinistra. Ovviamente il sistema del prodotto deve permetterlo e non deve vincolare le scelte dei programmatori. Per i device mobile, in particolar modo quando si pensa ai racing game su iPad o su iPhone, tale soluzione è più facilmente percorribile: non sono nuovi, per esempio, i titoli che permettono di avere l’accelerazione automatica, così da poter utilizzare una sola mano nel gestire il volante con un comando digitale. Infine, in chiusura, Ian ha mostrato anche la foto di una persona disabile, incapace di gestire con precisione i movimenti delle mani: grazie a una protesi artificiale inserita sulla testa, con un porta-stilo, il videogiocatore è riuscito sia a utilizzare la tastiera dell’iPad, premendo un solo tasto per volta, che a giocare ai titoli che hanno bisogno soltanto dell’utilizzo di uno stilo, con poche, però, limitazioni.
Va da sé che il percorso è solo all’inizio, che le strade sono molteplici e tutte percorribili, soprattutto per esplorare nuove soluzioni. Al termine dello speech ci siamo intrattenuti con Ian Hamilton per commentare anche altri aspetti, come appunto il videogioco adattato a chi ha avuto un ritardo dell’apprendimento del linguaggio: come può una persona con tale disabilità, pur essendo un videogiocatore che nella mobilità e nell’intuizione e risoluzione degli enigmi non riscontra problemi, inserirsi in un contesto multiplayer? Come potrà comunicare con le altre persone con le quali sta condividendo un’esperienza che in singleplayer, per lui, risulterebbe calzante e perfetta? Il videogioco guarda lontano, lo ha sempre fatto, e ora inizia a guardare anche a come migliorare la vita di chi affronta quotidianamente una disabilità, perché se non lo fa un medium come il videogioco è difficile che lo possa fare un altro.