A 24 ore dall’inizio della diatriba tra Apple e il governo USA per l’accesso ai dati sensibili memorizzati su iPhone tramite installazione di backdoor, anche Facebook e Twitter si schierano a favore di Tim Cook.
Dopo Google e, indirettamente, Microsoft, oggi anche Facebook e Twitter fanno sapere che appoggiano la posizione di Apple e che costringere i produttori di smartphone ad installare una backdoor può essere estremamente pericoloso.
Un portavoce di Facebook ha dichiarato: “Quando riceviamo richieste legittime da parte del tribunale, obbediamo. Tuttavia, continueremo a lottare in modo aggressivo contro le richieste che costringono le aziende ad indebolire la sicurezza dei loro sistemi. Tali richieste creerebbero un pericolo precedente e ostacolerebbero gli sforzi delle imprese per garantire la sicurezza dei loro prodotti “.
Gli fa eco il CEO di Twitter Jack Dorsey, che con un tweet commenta: “Noi stiamo con Tim Cook ed Apple“. Tra l’altro, online sono stat pubblicata già diverse petizioni a favore di Apple, firmate da migliaia di cittadini USA e non solo.
Dopo qualche ora di silenzio, le più grandi aziende tecnologiche stanno quindi commentando la vicenda e tutte sono a favore di Apple. Secondo Mashable, ci sono alcune società che non hanno ancora rilasciato dichiarazioni pubbliche perchè hanno cause pendenti con i vari uffici governativi.
Anche il co-fondatore di Apple Steve Wozniak si è detto contrario all’obbligo di inserire una backdoor negli smartphone, perché gran parte del successo di Apple è dovuto ad un elemento che si chiama “fiducia”.
Intanto, molti politici la pensano in modo diverso. Richard Burr, repubblicano della Carolina del Nord e membro di una commissione del Senato USA, vuole proporre un progetto di legge che imporrebbe delle sanzioni penali per le aziende che non rispettano questo tipo di ordini da parte del tribunale. Anche se non sappiamo quanti altri membri del Senato sono disposti ad appoggiare questa legge, è chiaro che la vicenda sta assumendo una portata molto importante, visto che sono arrivati anche commenti dalla Casa Bianca. La stessa Apple ha chiesto una legislazione chiara che metta finalmente la parola fine ad ogni incertezza sulla vicenda.
In un report pubblicato ieri negli USA, si diceva che Apple in passato ha già sbloccato 70 iPhone su richiesta di vari tribunali per l’accesso ai dati, e che quindi potrebbe fare lo stesso anche in questa situazione. Oggi questa notizia è stata smentita. Nel caso San Bernardino come in passato, Apple ha sempre rispettato gli ordini dei tribunali per le richieste che potevano essere accolte. Ad esempio, sui dispositivi con iOS 7 e precedenti, Apple ha la capacità di estrarre alcuni dati come contatti, foto, chiamate e iMessage senza dover sbloccare il codice del dispositivo. Da iOS 8 in poi, tutto questo non è possibile. In altri casi, gli iPhone sono stati sbloccati senza l’ausilio di Apple, ma direttamente dai tecnici degli inquirenti.
Nel caso San Bernardino, stiamo parlando di un iPhone 5c con iOS 9, impossibile da sbloccare anche per la stessa Apple. Gli stessi iMessage e FaceTime sono stati crittografati rispettivamente nel 2011 e nel 2010. Inoltre, l’azienda può ancora fornire questi dati se il dispositivo non è bloccato tramite codice d’accesso, ed è per questo che l’FBI chiede anche di eliminare tutti i sistemi di sicurezza che fanno ritardare l’immissione di codici errati.
Secondo alcuni esperti legali, sugli iPhone con Touch ID (ma non è il caso del 5c di San Bernardino) sarebbe possibile obbligare l’indagato a sbloccare il dispositivo tramite impronte digitali. Addirittura, il tribunale potrebbe autorizzare l’FBI ad effettuare la lettura del sensore anche utilizzando le impronte digitali di un cadavere, nel caso in cui l’indagato fosse già morto. Malgrado questa possibilità “legale”, dobbiamo ricordare che su iOS, dopo 48 ore di inutilizzo o dopo un riavvio, è comunque necessario inserire il codice di sblocco.
Ritornando alla cronaca vera e propria, Apple si è affidata a due avvocati di primo piano nel campo della libertà di parola e della protezione della privacy, proprio per affrontare la causa relativa alle richieste del giudice. I due avvocati sono Theodore Olson e Theodore Boutrous, che si baseranno proprio sui diritti di libertà di parola per difendere Apple dalle richieste del giudice sulla fornitura dei dati presenti sull’iPhone 5c incriminato. Molti esperti in diritto credono che Apple possa spuntarla, anche perchè la richiesta dell’FBI costringerebbe un’azienda privata a riscrivere un software e a renderlo meno sicuro al solo fine di carpire i dati memorizzati su un particolare dispositivo.
Apple ha ora tempo fino al 26 febbraio per presentare la sua memoria difensiva.