Che vi piaccia o meno, il fenomeno videoludico dell’estate si chiama PokémonGo. Un gioco su licenza realizzato da Niantic che fonde la realtà virtuale con la realtà… beh, reale. Del gioco saprete ormai tutto (se non è così, vi consigliamo di leggere questo articolo) pertanto in questo articolo analizzeremo un altro aspetto di PokémonGo, forse quello più interessante e da molti sottovalutato.
L’industria dei dei videogiochi in questi ultimi anni ha saputo sfornare capolavori, come Metal Gear Solid V o Uncharted 4, che fanno della storyline, del comparto grafico e del gameplay i propri punti di forza. Purtroppo, però, queste sono solo eccezioni che confermano una regola che non è poi così positiva. Chiunque abbia vissuto l’evoluzione delle console (e di conseguenza dei videogiochi) dai primi anni 90 ad oggi riesce benissimo a ricordare quel caro passato privo di DLC, di bonus pre-ordine, di giochi lanciati incompleti (per completarli poi proprio con i DLC) e di giochi, o meglio, di intere serie di videogiochi che, partite con ottimi propositi, si sono perse nel nulla. Probabilmente un giocatore attuale (di generazione < 2000) non può, per sua sfortuna, apprezzare quanto io stia scrivendo, proprio perché è stato catapultato sin da subito nel mercato dei videogiochi attuale, in cui le “schifezze” elencate in precedenza sono all’ordine del giorno. E del gioco.
La mia adolescenza è stata segnata da diversi videogiochi (mi sono sempre piaciuti e molti di questi mi hanno fornito degli insegnamenti importanti, esattamente come una favola o un cartone animato) tra cui proprio la serie di Pokémon, giocabile su GambeBoy. Ogni estate Nintendo proponeva nuove cartucce da inserire nella console portatile di riferimento in quel periodo e non era raro trovare altri allenatori in villa, in piazza, in spiaggia, e per un bambino come me era una gioia immensa scoprire che questo era provvisto anche di un cavetto con cui collegare i due GameBoy per sfidarsi o collaborare. Vi sto parlando di ricordi di circa 15 anni fa. Non saranno tanti, ma per me che ne ho 25 possono essere parecchi. Era proprio la storia, la voglia di cercare Pokémon sempre migliori, di sconfiggere gli amici (o i nemici…) e la possibilità di farlo anche con altre persone il punto di forza della serie videoludica di Pokémon. E lo stesso vale oggi per PokémonGo.
La differenza è che nel frattempo sono passati questi 15 anni e il mondo dei videogiochi si è profondamente rinnovato, nel bene e nel male. Abbiamo assistito all’abbandono di grafiche bidimensionali e in bianco e nero per passare a modelli poligonali fotorealistici e ad avventure degne delle migliori produzioni cinematografiche, ma… in molti casi di tutta questa ampollosità ci resta davvero poco e finiamo per rivendere o abbandonare il gioco e con esso le emozioni a breve termine che ci ha trasferito. E non dimentichiamoci dei DLC e dei pay-to-win che rispettivamente tentano di spillarci altri soldi o di annientare la sana competizione. Allo stesso tempo l’introduzione dell’online gaming, per certi versi, ha avuto l’effetto contrario rispetto a quello inizialmente ipotizzato: da strumento di interazione ludica sociale, alla fine si è passati ad uno strumento di isolamento sociale. Mi spiego: è pur vero che in un competitivo online si affrontano altri giocatori, ma questi restano dei nickname e ognuno di noi resta in casa, sulla sua sedia, davanti al suo monitor. No, non sto dicendo che si stava meglio quando si stava peggio. Sono io il primo patito di competitivi online, ma allo stesso tempo mi sto (ri)appassionando, grazie a PokémonGo, ad una competizione ugualmente online ma molto più vicina a quella che avevo ormai dimenticato. Una realtà che profuma in modo diverso da quella a cui ci siamo abituati.
Per competere in PokémonGo bisogna muoversi, bisogna uscire di casa. Bisogna camminare e anche tanto, il che è un ottimo modo per muoversi, specialmente se facciamo una vita sedentaria (aspetto da non sottovalutare!). La sensazione che si ha quando si esce a caccia di Pokémon è strana solo le prime volte. Superato l’ostacolo autoimposto del “non voglio sembrare un idiota che va a caccia di esseri virtuali“, il gioco si manifesta in tutta la sua potenza sociale che non è quella 2.0, ma la 1.0 che noi giocatori di una volta conosciamo benissimo. Quella che un tempo ti spingeva ad uscire di casa per progredire grazie agli amici e non a fare nottata soli davanti ad un monitor sfidando sconosciuti online per sbloccare il potenziamento più costoso.
Uscire con l’amico, con la ragazza o anche da soli a caccia di Pokémon ci espone all’inevitabile contatto umano che oggi abbiamo in parte dimenticato. Abbiamo la nostra cerchia di persone con cui interagiamo, ma siamo diffidenti nei confronti del terzo sconosciuto o comunque non ci interessa conoscerlo. Ma se questo condivide con noi una passione, forse scambiare due parole è più facile. Con oggi sono quattro giorni che gioco intensamente a PokémonGo e dal punto di vista sociale ho saputo notare solo dei benefici: mi sto divertendo, sto comunicando, sto visitando nuove aree del mio paese. Il telefono lo abbiamo spesso in mano mentre camminiamo, è inevitabile ormai, ma se al posto di consultare freneticamente (e poi alla ricerca di cosa… boh!) la timeline di Facebook riesco a fare un salto in un PokeStop della mia città e magari a salutare qualche amico che è finito anche lui li in quel determinato momento, sinceramente tendo a preferire la seconda opzione. Chiariamoci quindi: si parla pur sempre di un gioco per smartphone (che in ogni caso isola) e di una “perdita di tempo” se vogliamo, ma, ehi, dato che stiamo perdendo tempo, almeno facciamolo in modo un pelino più sano e divertente.
In questi giorni ho incontrato diverse persone (che conoscevo e che non conoscevo) a caccia di Pokémon nella mia città che non è assolutamente una metropoli. Tra l’altro non siamo ancora giunti al lancio ufficiale italiano del titolo (PokémonGo sbarcherà ufficialmente in Italia il 15 Luglio) ma c’è già tantissima gente che cattura, allena e sfida. Non vedo l’ora di conoscere e sconfiggere tale “SpidiPollo” che nella mia città sta conquistando tutte le palestre e ho già dichiarato guerra al mio amico di infanzia con cui mi sto contendendo una palestra. Ho poi incontrato conoscenti con cui abbiamo scambiato informazioni e consigli, nonché la cosa più importante: una chiacchierata che probabilmente, senza PokémonGo, si sarebbe riassunta in un saluto, magari anche solo con la mano o con la testa. Può sembrare assurdo, ma è così. Se non state ancora giocando a PokémonGo, ve ne accorgerete quando lo farete.
Ovviamente ci sono anche dei lati negativi (vedere tanta gente che cerca Pokémon in un piccolo paesino del nord barese non è fantastico) ma se con questo possiamo sostituire tante altre mode passeggere e sicuramente più negative, perché non provarci? Anche perché le mode che sposa la nostra società sono spesso tutt’altro che raccomandabili. Altro aspetto da tenere in considerazione è la sicurezza: molti si muovono a piedi, ma tantissimi si muovono sui veicoli, motorizzati e non: ovviamente serve massima cautela e questo, soprattutto per i più piccoli, il concetto deve essere ben inculcato dai genitori. Ma se giocato con le dovute cautele e soprattutto mantenendo prima di tutto il contatto con la realtà non-virtuale, PokémonGo non dovrebbe essere pericoloso. Una piccola negatività potrebbe essere vista anche negli acquisti in-app, comunque presenti, ma Niantic è stata una delle poche aziende ad aver mantenuto la promessa fatta, ossia quella che i contenuti acquistabili separatamente sarebbero stati del tutto opzionali e non avrebbero inciso sul progresso del personaggio e dei Pokémon. Infatti, almeno fino a questo momento, non ho mai neanche valutato l’opzione di acquistare dei contenuti extra, cosa che invece accade praticamente sempre negli altri free-to-play.
Voglio riassumere questo lungo pensiero con un semplice consiglio: date una chance a PokémonGo quando potrete o vorrete, perché è un gioco che va oltre il gioco stesso e non è il classico “passatempo che ti fa andare in giro con lo smartphone come un idiota e ti isola dal mondo“. Assolutamente no, per alcuni aspetti è l’esatto opposto. No, non sono stato pagato da Nintendo per dirlo e no, non me ne viene ugualmente nulla in tasca se lo giocate o se non lo giocate. Lo dico per chi guarda questo gioco come l’ennesima moda del momento: potrebbe benissimo esserlo, per carità, ma per ora è un gioco che ci spinge a fare due cose che abbiamo dimenticato di fare: muoverci e socializzare. Due cose che di sicuro male non ci fanno.