Sono circa 200 miliardi di dollari quelli presenti, attualmente, nelle casseforti di Cupertino. Apple ha “in pancia” una quantità di denaro liquido spaventosa, pari a quelle di Microsoft (99 miliardi di dollari), Google (73 miliardi), Amazon (14 miliardi) e Facebook (14 miliardi) messe assieme. Cerchiamo di addentrarci insieme nei meandri di questa liquidità.
Basterebbero già i dati illustrati in apertura per farvi comprendere la forza economica di Apple. Volendo darvi un paragone ancora più concreto, questi 200 miliardi di dollari rappresentano l’interno PIL di un Paese come la Repubblica Ceca, e circa 4,4 volte la liquidità presente, ad oggi, nelle casse della Banca d’Italia. Cifre mostruose, frutto di una precisa pianificazione e di travolgenti successi commerciali.
Innanzitutto, a partire dal ritorno di Steve Jobs avvenuto nel 1996, Apple ha vissuto due vere e proprie ere dell’elettronica di consumo. La prima con il lancio di iPod, un prodotto che ha rivoluzionato il settore della musica, dando avvio alla sua digitalizzazione e creando, di fatto, le premesse per l’attuale mercato dello streaming. Un lettore MP3 che toccava, ogni anno, le 25 milioni di unità vendute. Magie commerciali possibili solo dalle parti di Cupertino.
La seconda era si è aperta invece nel 2007, quando Jobs è salito sul palco della conferenza del Macworld, svelando la prima generazione di iPhone. Da quel momento, Apple ha cominciato a macinare ricavi record. Attenzione però, non soltanto dalle vendite degli iPhone in se per se (comunque elevatissime, con le ultime versioni che hanno toccato quota 75 milioni di unità), bensì anche da tutto ciò che ruota attorno al mercato smartphone.
Non dobbiamo infatti commettere l’errore che i ricavi del mercato smartphone derivino solo dalla vendita dei dispositivi. In tal senso, siamo portati a guardare il settore dalla prospettiva italiana dove, ad esempio, c’è una bassissima tendenza ad acquistare un’applicazione o a noleggiare un film sul proprio tablet. L’Italia però rappresenta un mercato molto piccolo mentre, in una zona chiave come gli Stati Uniti, le cose sono molto differenti.
Negli U.S.A. ad esempio, la legge sul copyright è estremamente severa, dunque gli statunitensi hanno insita nel D.N.A. la cultura di pagare per un’applicazione, di noleggiare un film sul proprio smartphone, di acquistare un album musicale in formato digitale. Ed è qui che si inserisce Apple.
Se analizziamo i dati, ci rendiamo conto come in molti trimestri fiscali (pensiamo, ad esempio, al Q3 2016), il colosso di Cupertino faccia propri il 91/92% degli introiti derivanti dall’intero mercato smartphone (comprendenti, dunque, non solo la vendita dei dispositivi, ma anche quella di musica, film, app, accessori, servizi). Una visione a 360° che, di fatto, manca ai diretti competitors.
Il tutto viene gestito magistralmente da Luca Maestri, lo Chief Financial Officer di Apple, un italiano. Se ci riflettiamo un attimo, ad esempio, il colosso di Cupertino è senza dubbio l’azienda hi-tech che opera il minor numero di acquisizioni. Pensiamo a Google o Microsoft, che acquisiscono decine di aziende ogni anno, spesso però con risultati discutibili: Nokia e Motorola, ad esempio.
Apple invece gestisce queste operazioni con raziocinio. La recente acquisizione di Beats Audio, costata 3 miliardi di dollari, ha consentito di mettere le mani sul 50% del mercato delle cuffie wireless. Nulla viene fatto senza una precisa programmazione.
Ma come vengono spesi questi 200 miliardi di dollari di liquidità? Con questa cifra, Apple potrebbe acquistare l’intera Disney, oppure Amazon e Netflix contemporaneamente. Semplicemente però, questi soldi non vengono spesi, bensì custoditi in Irlanda.
Di fatto l’attuale business della “mela morsicata” è fortemente incentrato sugli iPhone. Se, a partire da oggi, il mercato smartphone paradossalmente collassasse, Apple si ritroverebbe senza la propria principale fonte di guadagno. Ecco perchè quei 200 miliardi di dollari riposano in Irlanda (ed in qualche Paese offshore), in attesa di essere investiti in acquisizioni mirate, in operazioni che consentiranno di diversificare la propria offerta, ed in qualche altro dispositivo rivoluzionario.