Il procuratore generale degli Stati Uniti William Barr ha chiesto ad Apple di sbloccare gli iPhone utilizzati dall’ufficiale saudita che ha sparato nella base aeronavale di Pensacola, in Florida. L’azienda di Cupertino fa sapere che non può soddisfare questa richiesta.
La richiesta del procuratore generale arriva a pochi giorni dalla notizia che anche l’FBI ha chiesto lo stesso sblocco ad Apple.
“Questa situazione illustra perfettamente il motivo per cui è fondamentale che le forze dell’ordine siano in grado di accedere alle prove digitali“, ha dichiarato il procuratore generale Barr, che ha poi invitato Apple e altre società tecnologiche a trovare una soluzione comune. Il procuratore si è anche lamentato del fatto che Apple non ha fornito l’assistenza necessaria per questo caso. Cosa farà ora l’azienda?
Quello che sappiamo è che Apple ha già fornito alle forze dell’ordine le informazioni sugli account iCloud dell’ufficiale saudita Alshamrani, ma gli inquirenti vorrebbero avere accesso agli iPhone. Su questo punto, Apple può poco perché i dispositivi sono protetti da password e non c’è modo di sbloccarli.
Intanto, Apple ha negato la richiesta del procuratore, affermando che non è possibile accedere ai dati di un iPhone protetto da password e che agli inquirenti sono state già fornite tutte le informazioni in possesso dell’azienda:
Siamo stati devastati nel venire a conoscenza del tragico attacco terroristico contro membri dei servizi armati statunitensi presso la base aeronavale di Pensacola, in Florida, avvenuto il 6 dicembre. Abbiamo il massimo rispetto per le forze dell’ordine e lavoriamo regolarmente con la polizia per dare il nostro aiuto nelle indagini. Quando le forze dell’ordine richiedono la nostra assistenza, i nostri team lavorano 24 ore su 24 per fornire le informazioni di cui disponiamo.
Respingiamo l’accusa che Apple non ha fornito assistenza sostanziale nelle indagini di Pensacola. Le nostre risposte alle loro numerose richieste dal giorno dell’attacco sono state tempestive, approfondite e ancora in corso.
A poche ore dalla prima richiesta dell’FBI il 6 dicembre, abbiamo condiviso un’ampia varietà di informazioni legate all’inchiesta. Dal 7 al 14 dicembre abbiamo ricevuto sei richieste legali aggiuntive e in risposta abbiamo fornito varie informazioni tra cui backup iCloud, informazioni sull’account e dati transazionali per più account.
Abbiamo risposto prontamente a ciascuna richiesta, spesso entro poche ore, condividendo informazioni con gli uffici dell’FBI a Jacksonville, Pensacola e New York. Le query hanno portato a molti gigabyte di informazioni che abbiamo consegnato agli investigatori. In ogni caso, abbiamo risposto con tutte le informazioni che avevamo.
L’FBI ci ha comunicato solo il 6 gennaio che avevano bisogno di ulteriore assistenza – un mese dopo l’attacco. Solo allora abbiamo appreso dell’esistenza di un secondo iPhone associato alle indagini e dell’incapacità dell’FBI di accedere a entrambi gli iPhone. L’8 gennaio abbiamo ricevuto una citazione per informazioni relative al secondo iPhone, a cui abbiamo risposto entro poche ore. La divulgazione tempestiva è fondamentale per accedere alle informazioni e trovare opzioni aggiuntive.
Stiamo continuando a lavorare con l’FBI e recentemente i nostri team di ingegneri hanno ricevuto una chiamata per fornire ulteriore assistenza tecnica. Apple ha un grande rispetto per il lavoro dell’Ufficio del procuratore e lavoreremo instancabilmente per aiutare a indagare su questo tragico attacco alla nostra nazione.
Abbiamo sempre sostenuto che non esiste una backdoor solo per i “bravi ragazzi”. Le backdoor possono anche essere sfruttate da coloro che minacciano la nostra sicurezza nazionale e la sicurezza dei dati dei nostri clienti. Oggi, le forze dell’ordine hanno accesso a più dati che mai nella storia, quindi gli americani non devono scegliere tra indebolire la crittografia e risolvere le indagini. Riteniamo che la crittografia sia vitale per proteggere il nostro Paese e i dati dei nostri utenti.
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