Dopo l’annuncio delle tante modifiche ad AirTag e alla piattaforma Find My per proteggere ulteriormente la privacy degli utenti, il New York Times ha pubblicato uno speciale dedicati ai vari tracker più diffusi negli Stati Uniti.
L’articolo parte da un test effettuato utilizzando AirTag, Tile e un localizzatore GPS standard per seguire una “consapevole” vittima. La giornalista del New York Times Kashmir Hill ha deciso infatti di confrontare AirTag, Tile e un tracker GPS nascondendoli nell’auto e in altri oggetti personali di suo marito (con il suo consenso) per scoprire con quanta precisione erano in grado di rilevare i movimenti e come fosse tutelata la privacy dell’uomo.
L’esperimento è stato messo subito alla prova quando il marito di Hill ha dovuto portare la figlia della coppia in ospedale dopo che era risultata positiva al COVID-19.
Trenta minuti dopo che mio marito e mia figlia sono partiti per l’ospedale, ho aperto un’app collegata al tracker più preciso dei tre, il LandAirSea da 30 dollari. Attivarlo costa di più, perché ha bisogno di un piano cellulare per conoscere la sua posizione anche grazie al GPS. Ho scelto il piano più economico, 19,95 dollari al mese, per ricevere aggiornamenti sulla posizione ogni tre minuti; il piano più costoso, per aggiornamenti ogni tre secondi, costa 49,95 dollari.
L’app ha una funzione “InstaFence” che può avvisarmi quando l’auto si muove e un’opzione “Riproduzione” per mostrare dove è stata l’auto, in modo da poter vedere il percorso esatto delle strade che mio marito aveva percorso. Ho visto che ha parcheggiato alle 16:55, quindi non sono rimasta sorpresa quando 12 minuti dopo ho ricevuto un suo messaggio che diceva che lui e nostra figlia erano nella sala d’attesa.
Se da una parte questo localizzatore GPS è stato in grado di mostrare lo stato della posizione in tempo reale, Tile e AirTag non hanno funzionato altrettanto bene quando si trattava di precisione della localizzazione in tempo reale, soprattutto in una zona scarsamente popolata come quella della giornalista. Il motivo è che Tile e AirTag si affidano alle rispettive reti di dispositivi per i dati sulla posizione, piuttosto che alle connessioni GPS e cellulari dedicate che, però, richiedono quasi sempre il pagamento di un abbonamento a parte.
Di contro, la funzione di privacy di AirTag ha funzionato come previsto (o quasi):
Dopo due ore dal momento in cui ho messo tutti i localizzatori nella nostra macchina, mio marito, che ha un iPhone, ha ricevuto un avviso dall’AirTag. Il problema era che non riusciva a trovarlo. L’avviso diceva che poteva far riprodurre un suono all’AirTag, ma quando ha tentato di farlo, il suo telefono non si connetteva al dispositivo. Questo è successo più volte e ha iniziato a sentirsi frustrato. “È nella mia scarpa?” mi ha chiesto a un certo punto, togliendosi la sua Nike blu e scrutandola. “Devi dirmelo. Non voglio distruggere la mia scarpa per cercarlo“.
Anche nell’unica volta che il suo iPhone si è collegato all’AirTag in macchina, in modo da poter riprodurre il suono, è stato difficile trovarlo a causa del basso volume.
Tile, invece, non presenta alcun tipo di avviso.
Il tracker Tile funziona peggio. Il suo sistema è simile a quello di Apple, ma molte meno persone hanno l’app Tile sui propri telefoni rispetto a chi possiede semplicemente dispositivi Apple. Un’altra differenza fondamentale tra Tile e AirTag è che se un iPhone rileva un AirTag sconosciuto che si muove continuamente con esso, il proprietario dell’iPhone riceve una notifica, insieme a una mappa che mostra dove è iniziato il monitoraggio. Questo non è possibile farlo con il Tile.
La giornalista conclude dicendo che il tracker GPS è sicuramente il più preciso nella localizzazione in tempo reale, anche se AirTag ha funzionato benissimo a New York, dove la concentrazione di iPhone è molto più alta. A livello di privacy, e di tutela di potenziali vittime di stalking e non solo, AirTag vince contro la concorrenza, malgrado qualche limite che Apple sta cercando di correggere con gli aggiornamenti già annunciati nei giorni scorsi.