La tensione commerciale tra Stati Uniti e resto del mondo è tornata a farsi sentire con forza, e stavolta a pagarne il prezzo è anche Apple.
Durante una conferenza stampa tenutasi nelle scorse ore, l’amministrazione Trump ha svelato una nuova ondata di dazi sulle importazioni, con conseguenze potenzialmente devastanti per l’intera catena produttiva di Apple. I mercati hanno subito reagito: il titolo Apple ha perso oltre il 7% nel trading after-hours, con una discesa da 223 a circa 207 dollari per azione.
Secondo quanto dichiarato dal presidente Donald Trump, a partire da sabato 5 aprile entrerà in vigore una tariffa base del 10% su tutte le importazioni verso gli Stati Uniti. Un colpo già pesante per aziende come Apple, che basano la propria produzione in paesi come Cina, India, Vietnam e Malesia. Ma non è tutto.
Da martedì 9 aprile, scatteranno anche i cosiddetti “dazi reciproci”, tariffe aggiuntive imposte a quei paesi accusati di distorcere il commercio con sussidi o politiche monetarie aggressive. E i numeri sono allarmanti.
- Cina, paese fondamentale per la produzione di iPhone: fino al 54% di dazi complessivi (34% di dazio reciproco + 20% già in vigore da gennaio).
- Vietnam, dove si assemblano AirPods, MacBook e Apple Watch: 46% di tariffe.
- India, polo emergente per la produzione iPhone: 26% di dazi.
- Malesia, coinvolta in più fasi della supply chain: fino al 24%.
- Altri paesi della rete produttiva Apple subiranno almeno il 10% di impatto tariffario.
In pratica, nessuna area strategica della produzione Apple viene risparmiata. E nonostante negli ultimi anni Apple abbia cercato di diversificare la produzione per ridurre la dipendenza dalla Cina, tutti i piani alternativi sembrano ora colpiti allo stesso modo.
Le implicazioni sono pesantissime. Apple dovrà ora decidere se assorbire l’aumento dei costi, sacrificando parte dei propri margini di guadagno, oppure trasferire i rincari direttamente ai consumatori, aumentando i prezzi di iPhone, Mac, AirPods e Apple Watch. Ma in un mercato già sensibile ai prezzi, soprattutto nel segmento smartphone, questo secondo scenario potrebbe facilmente tradursi in un calo della domanda.
Al momento, nessuna dichiarazione ufficiale è arrivata da Apple, ma fonti vicine all’azienda confermano preoccupazione e instabilità interna, soprattutto perché — diversamente dal 2018 — Apple non è riuscita a ottenere alcuna esenzione dai dazi da parte dell’amministrazione Trump. Nella guerra commerciale tra USA e Cina di allora, l’iPhone era stato escluso, questa volta no.
Il mercato ha reagito con prontezza: il titolo Apple ha perso oltre il 7% nel trading post-chiusura, bruciando miliardi di capitalizzazione in poche ore. AAPL, chiuso oggi a 223 dollari, è sceso attorno ai 207 nel giro di un pomeriggio.
E Apple non è sola. Anche altri giganti tech come Microsoft, Nvidia e Amazon hanno registrato vendite massicce, in un clima di panico generalizzato a Wall Street, spaventata dalle possibili conseguenze di questa mossa a livello globale.
Questa situazione rappresenta un momento critico per Apple, forse anche più complicato del periodo pandemico o del primo round di dazi del 2018. Il problema non è solo l’impatto economico a breve termine, ma l’incertezza che ne deriva. Come si pianifica una strategia industriale se ogni mese cambia il campo da gioco?
Apple è nota per la precisione quasi maniacale con cui struttura la sua supply chain, ottimizzando ogni componente in base a tempi, costi e logistica. Ma con tariffe variabili e in aumento, l’intero equilibrio viene meno. E se a questo si aggiunge l’impossibilità di sapere se ci saranno esenzioni, rinvii o nuove strette, è evidente che anche un colosso come Apple può vacillare.
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