A partire dal 9 aprile, gli Stati Uniti imporranno dazi fino al 54% sui prodotti importati dalla Cina, Paese dove Apple assembla circa il 90% dei suoi iPhone. Una decisione che, secondo le analisi di Rosenblatt Securities, potrebbe tradursi in un aumento dei prezzi fino al 43% su tutta la gamma iPhone.
Concretamente? Il modello di punta iPhone 16 Pro Max da 1TB potrebbe passare da 1.599 a quasi 2.300 dollari negli USA, con ripercussioni anche sui prezzi italiani.
Gli analisti hanno ipotizzato aumenti su tutta la linea Apple, non solo sugli iPhone. Ma è chiaro che sarà proprio lo smartphone a farne le spese, almeno mediaticamente.
Ecco alcune proiezioni:
- iPhone 16e (modello entry-level) da 599 a oltre 850 dollari
- iPhone 16 Pro 256GB da 999 a circa 1.430 dollari
- iPhone 16 base da 799 a 1.140 dollari
- iPhone 16 Pro Max 1TB da 1.599 a quasi 2.300 dollari
E non finisce qui. Anche Apple Watch, iPad e AirPods vedrebbero rincari importanti: fino al 43% per Apple Watch, 42% per gli iPad e circa 39% per gli AirPods.
Il 2 aprile, in quello che Trump ha ribattezzato ironicamente “Liberation Day”, è stato ufficializzato un pacchetto di tariffe “reciproche” nei confronti di numerosi Paesi, tra cui ovviamente la Cina. L’obiettivo dichiarato è colpire le aziende che delocalizzano la produzione, incentivandole a riportare la manifattura negli Stati Uniti.
Tuttavia, Apple – come molti altri colossi tech – dipende fortemente dalla Cina. Circa l’80% della produzione totale dell’azienda passa da lì, e anche se Tim Cook ha già avviato da anni la diversificazione verso Paesi come India, Vietnam e Thailandia, la transizione è ancora incompleta.
La India, oggi responsabile del 10-15% dell’assemblaggio di iPhone, punta a raggiungere il 20% entro fine anno. Ma anche da lì, Apple dovrà pagare un dazio del 26%. Quindi, comunque, i costi saliranno.
Durante il primo mandato Trump, Apple riuscì a ottenere un’esenzione parziale dai dazi, grazie anche al dialogo diretto tra il presidente e Tim Cook (ribattezzato, per errore o provocazione, “Tim Apple” da Trump stesso).
Ma stavolta la situazione appare più complessa e rigida. Le nuove tariffe sono state introdotte tramite l’International Emergency Economic Powers Act, un meccanismo che non prevede liste di prodotti esentabili, né moduli per fare richiesta. L’unico modo per ottenere una deroga è un ordine diretto del presidente, che ha già dichiarato pubblicamente che non ci saranno eccezioni se non per materie prime e componenti fondamentali, comunque marginali per Apple.
Secondo Neil Shah di Counterpoint Research, Apple potrebbe anche decidere di non scaricare completamente i costi sugli utenti, limitando l’aumento al 30% circa, o gestendo il tutto con soluzioni miste: aumento solo su alcuni modelli, riduzione delle offerte promozionali, o ancora rinegoziazione dei margini con fornitori e operatori.
Angelo Zino di CFRA Research, invece, è convinto che un aumento dei prezzi superiore al 10% sarebbe difficile da sostenere in questo momento, soprattutto considerando la sensibilità dei consumatori. Ma lo scenario più plausibile, secondo lui, è che Apple mantenga stabili i prezzi degli iPhone 16, per poi rialzare sensibilmente il listino con iPhone 17 a settembre 2025.
Come prevedibile, l’annuncio dei dazi ha avuto effetti immediati anche sul titolo Apple, che ha registrato un calo di oltre il 9% subito dopo l’annuncio, per poi assestarsi su una perdita vicina al 15% nei giorni successivi.
Gli investitori temono non solo per i prezzi, ma per l’intera catena di fornitura, che rischia di destabilizzarsi nel breve periodo. Si parla di un impatto potenziale da 40 miliardi di dollari solo per Apple, secondo le stime di Rosenblatt Securities.
Di fatto, Apple si trova stretta tra l’esigenza di contenere i costi e quella di proteggere la percezione di valore del proprio brand. Perché un iPhone da 2.300 dollari – seppur il modello top – non è solo un prodotto costoso, è un messaggio. Un segnale che potrebbe spaventare anche una parte dell’utenza più fedele.
Cosa ne pensate?
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