Trump apre a possibili esenzioni dai dazi per alcune aziende USA

Donald Trump definisce “insostenibile” la produzione Apple in Cina e apre a possibili esenzioni dai dazi per alcune aziende statunitensi.

trump twitter

Durante una conferenza stampa alla Casa Bianca, Donald Trump ha ribadito la sua posizione sui dazi doganali, definendo “insostenibile” il fatto che Apple continui a produrre i suoi dispositivi in Cina. Non solo: Trump ha anche accennato alla possibilità di concedere esenzioni selettive per alcune aziende statunitensi, nel tentativo di placare le tensioni economiche e politiche innescate dalle sue stesse politiche tariffarie.

Interrogato sul fatto se prenderà in considerazione l’idea di esonerare alcune aziende americane dai dazi imposti, Trump ha risposto con un tipico “vedremo con il tempo”, ammettendo però che alcune aziende vengono colpite in modo sproporzionato a causa della loro natura produttiva. E su queste potrebbe “mostrare un po’ di flessibilità”.

Il riferimento ad Apple non è esplicito, ma evidente. Durante il suo primo mandato, fu proprio Tim Cook a convincere Trump a esentare alcuni prodotti Apple dai dazi, evitando così impatti diretti su iPhone e altri dispositivi di punta. Ma questa volta le cose sembrano molto diverse: nessuna esenzione è stata ancora concessa, e le tensioni commerciali continuano a salire.

Lo scorso mercoledì Trump ha annunciato un inaspettato incremento delle tariffe sulle importazioni dalla Cina, portandole a un incredibile 125%, un livello mai visto prima. L’annuncio ha scatenato il panico nei mercati, con Apple che ha visto il proprio titolo precipitare di quasi il 20% in pochi giorni, toccando un minimo di 172 dollari ad azione.

Solo con l’annuncio di una pausa temporanea di 90 giorni sui cosiddetti dazi “reciproci”, applicati a paesi come Vietnam (46%) e Taiwan (32%), la situazione si è momentaneamente stabilizzata. Tuttavia, la Cina resta esclusa da questa sospensione, mantenendo la tariffa base del 10% e subendo l’effetto immediato della nuova imposizione al 125%.

Trump ha giustificato la sospensione con una frase che lascia poco all’immaginazione: “la gente stava cominciando a sentirsi male”, segno che l’impatto economico delle sue politiche ha cominciato a farsi sentire non solo sulle aziende, ma anche sull’opinione pubblica.

Trump ha dichiarato che Apple non avrebbe investito 500 miliardi negli Stati Uniti se non fosse stato per la sua pressione commerciale, facendo riferimento al nuovo centro di calcolo per Apple Intelligence in costruzione a Houston. Ma la realtà è ben diversa.

L’investimento riguarda server aziendali e infrastrutture cloud, non la produzione di iPhone o iPad. La filiera produttiva dei dispositivi Apple resta saldamente ancorata all’Asia, con la Cina in testa, seguita da India e Vietnam. Pensare che Apple possa “traslocare” tutto in Texas nel giro di pochi mesi, come lascia intendere Trump, è un’illusione pericolosamente semplificata.

Come già spiegato da Tim Cook anni fa, la scelta della Cina non è solo una questione di costo della manodopera, ma soprattutto di competenze tecniche, precisione e disponibilità immediata di componenti. Apple dipende da una rete globale di fornitori distribuiti in oltre 50 paesi, e da materie prime rare provenienti da quasi 80 nazioni, molte delle quali non accessibili dal territorio statunitense.

Pensare di concentrare tutto questo negli Stati Uniti non solo è logisticamente irrealizzabile, ma porterebbe i costi di produzione a livelli insostenibili anche per Apple, con riflessi diretti sui prezzi finali dei prodotti.

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