No, non capita spesso. Di prendere parte ad una cosa bella, intendo. Di ascoltare con attenzione qualcuno in grado di emozionarti. Di ascoltare con attenzione di qualcuno in grado di emozionarti. Eppure ieri, al Circolo dei Lettori di Torino, è esattamente così che è andata. Come vi abbiamo anticipato attraverso il nostro account Twitter (@iphone_italia), il Prof. Maurizio Ferraris e Riccardo Luna, primo direttore di Wired, ci hanno raccontato Steve Jobs, “l’uomo così pazzo da pensare di cambiare il mondo che lo ha cambiato per davvero”. Ripercorriamo insieme i momenti salienti della serata.
Sono le ore 21:00, la sala grande si è presto riempita. Questa sera si parla di “Spettri di Steve Jobs”. Le luci si spengono per lasciare che un video
introduca la soirée. Osserviamo: un professore di bell’aspetto interagisce col suo assistente vocale personale che risponde con efficienza a tutte le sue curiosità. Si serve, in parallelo, di tecnologia touch: una tavoletta che risponde ai suoi comandi a partire da pochi tap sul suo schermo. Questi due elementi vi ricordano forse qualcosa?
Il video è datato 1987. MILLENOVECENTOTTANTASETTE. Ambientato nel 2011 (anno in cui è stato introdotto Siri).
“Una coincidenza?”, ci chiede Luna. Chi può dirlo? I casi però in effetti sono solo due: “O Steve Jobs era particolarmente fortunato o questa è la prova che fosse davvero un mago”.
Immediatamente dopo questo breve (e se vogliamo un po’ criptico) incipit, si
passa alla lettura di un brano tratto dalla biografia di Isaacson in cui viene descritto il lancio del primo iPhone e sottolineato quanto i prodotti Apple sembrino circondati da “un alone di magia”.
Il Professor Ferraris prende poi la parola. Decide di parlarci di iPad, del nesso che sembra legare la tavoletta Apple all’anima.
Parte la sua riflessione.
L’iPad, come sappiamo, svolge tra le sue svariate funzioni quella di supporto per scrivere; esattamente come sulla tavoletta di cera adoperata dagli antichi o il foglio di carta dei moderni, attraverso l’iPad abbiamo la possibilità di ‘fermare i nostri pensieri’, fissarli, per così dire, come fossero un punto tracciato su un piano cartesiano, le cui coordinate sono lo spazio e il tempo.
Poste le giuste premesse, il Professore ci fa notare che tra le più antiche
rappresentazioni dell’anima troviamo proprio quella che la vuole ‘supporto
scrittorio’.
Pensare è come scrivere discorsi dell’anima, è tenere a memoria, annotare,
coordinare e concatenare. E una volta che se ne va la memoria, se ne va anche il pensiero.
Se è vero come è vero che la memoria è una condizione fondamentale dello spirito, ecco che allora ci viene spiegato perché l’iPad può essere considerato un supplemento d’anima: l’archivio di scritture e immagini che conserviamo attraverso il nostro Apple device, ci aiuta a ricordare.
Mi permetto di aggiungere: è come se l’iPad fosse un hard disk esterno della nostra anima. Parafrasando Ferraris:
Ecco che cosa si compra quando compriamo un iPad: un’anima [di scorta], un animated-book, un a-book.
Con l’avvento del telefonino si pensava che la scrittura avrebbe conosciuto un lento declino. Scomparsa finita kaputt morta. In pochissimo tempo, invece, il telefono cellulare ha implementato la possibilità di redigere ed inviare messaggi di testo. Contro ogni aspettativa il telefono è divenuto in fretta il principale strumento di scrittura.
Perché?
Perché ciò che scrivi resta, perché ciò che scrivi viene registrato. L’enorme forza dell’iPad sta nel potenziare la vita raddoppiando la mente, raddoppiando le sue capacità “contenitive”. L’iPad aumenta la memoria in quanto la raccoglie e incrementare la memoria significa incrementare la nostra naturale attività spirituale.
Inutile sottolineare quanto le riflessioni teoretiche proposte da Ferraris
siano in grado di scaturire infiniti e stimolanti spunti di approfondimento.
Qualora foste interessati a questo specifico argomento, approfittiamo di questo spazio per invitarvi alla lettura di Anima e iPad (Guanda, 2011).
E’ quindi il momento di Riccardo Luna e in un attimo la sala si riempie di
entusiasmo e trasporto. Elementi d’altronde essenziali (e chi lo segue, lo sa) dell’amatissimo giornalista dell’innovazione tecnologica.
Luna spiega ai presenti che alla morte del CEO di Apple è presto nata un’accesa diatriba che tutt’ora vede schierati sul campo di battaglia i fedelissimi di Jobs, da un lato, e gli accaniti contestatori, dall’altro. Luna mette allora in chiaro, con fare che sembrerebbe da “buon greco” (sostenitore della politica del giusto mezzo) un paio di punti: si, Steve aveva un carattere sgradevole, risultava spesso spietato e parcheggiava dove non doveva (cattivo, non si fa!), ma allo stesso tempo no: non ha mai né mai tentato di salvare il mondo, come a qualcuno invece piace pensare.
Bene o male che se ne dica, che ci piaccia o meno insomma, Steve Jobs era però un’icona.
Un’icona, si! E un creativo e uno capace di innovazione e e e. Jobs ha reso democratica la tecnologia, ha reso delle cose difficili alla portata di tutti e lo ha fatto con la massima attenzione, la massima cura, senza trascurare alcun genere di dettaglio, senza rinunciare alla Bellezza.
E ancora. Steve è stato uno straordinario (nel senso più specifico del termine, nel senso di fuori dall’ordinario) leader carismatico. E politico, anche. Manteneva sempre la parola data.
A partire da cosa nasce il trasporto emotivo di tutti quelli che lo amano? Perché ci emozionavamo, vedendolo salire su quel palco in jeans sempre uguali, lupetto nero e occhialini tondi?
Ve lo siete mai chiesto, ragazzi… il perché?
La risposta, forse, è molto più semplice di quello che sembri. Oppure no, ciascuno ha la sua e va bene. Quella suggerita in parte da Luna (e che personalmente sento di abbracciare senza forma di dubbio alcuno) vede le ragioni di tanta ammirazione a partire dalla capacità che Steve aveva di trasmettere dei valori.
I momenti difficili si superano, se hai il coraggio di provarci. Se sei capace di inseguire un sogno, se ce la fai a non mollare, allora ce la puoi fare a realizzarli.
E’ la sintesi del discorso di Stanford, se vogliamo; in molte meno parole di così è il suo “Stay hungry, stay foolish” al quale tanto siamo affezionati.
Le cose cambiano e cambiano in meglio, se siamo in grado di provarci.
Ecco quindi che Marco Boglione, fondatore e presidente di BasicNet, nonché ideatore della mostra Steve Jobs, 1955 – 2011, è chiamato ad intervenire durante questa serata che, come noi avevamo assolutamente previsto, si è rivelata ricca di emozioni e spunti interessanti. Boglione parla della mostra, la cui durata è stata prolungata fino al 15 aprile; della sua intenzione di far nascere all’interno del capoluogo piemontese un Museo della Rivoluzione Tecnologica; sottolinea il genio imprenditoriale che ha contraddistinto la personalità del CEO di Apple durante l’arco della sua vita.
La serata volge al termine e noi, con le mani nelle tasche sfondate, torniamo a casa un po’ diversi da come siamo partiti. Portiamo appiccicate addosso moltissime parole e sensazioni e la forte convinzione, per dirla con Steve, che “nulla è veramente impossibile, se si è abbastanza folli da pensarlo”.