Su Steve Jobs, ex CEO e co-fondatore di Apple, si è scritto tanto, si è realizzato tanto. Biografie, libri, film, anche più di uno, per raccontare la propria versione, la propria storia, per dire ciò che l’altro che non aveva saputo dire. Nel cinematografo sono stati Danny Boyle e Joshua Michael Stern a darsi battaglia, per raccontare lo Steve Jobs migliore, per portare sul grande schermo la storia del visionario americano: jOBS e Steve Jobs si sono sfidati a distanza di due anni l’uno dall’altro, con due budget diversi, con due distribuzioni diverse, con due storie diverse.
Il 16 agosto del 2013 uscì jOBS, il film di Joshua Michael Stern con Ashton Kutcher nei panni di Steve Jobs: una produzione indipendente, rimasta al cinema per 49 giorni e costata 12 milioni di dollari, come budget realizzativo, senza contare quanto speso per il marketing. L’incasso domestico, negli Stati Uniti, è stato 16 milioni, con il weekend di apertura che ne ha portati 6,7 di milioni. Leggermente meglio, in patria, è andata a Danny Boyle, che con il suo Steve Jobs, interpretato da Michael Fassbender, è arrivato al cinema il 9 ottobre scorso. Il budget è chiaramente diverso, parliamo di 30 milioni di dollari, e la distribuzione è stata affidata a Universal Pictures: la pellicola è rimasta al cinema per 63 giorni e ha incassato, nel mercato domestico, 17 milioni di dollari, di cui 7 nel weekend d’apertura.
La differenza in patria è stata a dir poco minima, in proporzione a quelle che sono le cifre spese, con Boyle che ha risentito più di Stern dal punto di vista del budget, non rientrato del tutto. Nel mercato internazionale, però, arriva la vittoria definitiva, quella decisiva, che permette a Stern di prevalere su Boyle: il primo, infatti, raggiunge i 19 milioni di incasso ai botteghini internazionali, mentre il secondo deve accontentarsi di 6 milioni. Il totale vede Stern a 36 milioni e Boyle a 24, con jOBS che quindi prevale su Steve Jobs, grazie al pubblico mondiale. Le due pellicole, in ogni caso, hanno affrontato due momenti diversi della vita del co-fondatore di Apple e non escludiamo che avere uno spaccato sulle origini piuttosto che assistere al lancio di tre prodotti focali della vita di Jobs abbia interessato di più la platea. Se infatti Stern si era concentrato soltanto sugli anni che andavano dal 1971 al 2000, quindi la genesi del genio, Boyle era stato molto più didascalico, affrontando il lancio sul mercato di ciò che ha trasformato Jobs nel mito che è oggi, ispirandosi tra l’altro alla biografia scritta da Isaacson, con tutte le limitazioni del caso.
Non finisce qui, comunque, perché Magnolia Pictures pochi mesi fa ha ancora una volta portato Jobs al cinema con Steve Jobs: The Man in the Machine, documentario diretto da Alex Gibney, già regista del documentario Going Clear su Scientology e vincitore di un Oscar per Taxi to the Dark Side. Presentato al South by Southwest, ad Austin in Texas, il documentario racconta la storia di Steve Jobs descrivendolo come innovatore, ma anche come uomo ambizioso e duro con i propri dipendenti. Distribuito il 4 settembre negli Stati Uniti, in maniera limitata, l’incasso è stato di 500.000 dollari in poco più di due mesi, senza però toccare ancora il territorio internazionale.