L’Unione Europea ha fatto sapere che ci vuole ancora del tempo prima che ci concludano le indagini sulla legittimità del regime fiscale adottato da Apple in Europa. L’azienda di Cupertino rischia di dover pagare una multa da 8 miliardi di dollari, e l’Unione Europea vuole essere sicura di arrivare ad un verdetto certo dopo un lungo periodo di indagini.
I ben informati sostengono che le indagini si concluderanno a sfavore di Apple, visto che l’Unione Europea è pronta a dichiarare illegale il regime fiscale adottato in accordo con il governo irlandese.
In un mondo semplice, questo è quello che succede quando compro un iPhone in Italia: l’Apple Store di Roma Est manda i soldi a Cupertino e Apple paga le imposte negli Stati Uniti, oppure, se il denaro viene invece versato su un conto bancario in Italia, Apple paga le tasse al fisco italiano. In realtà, nessuna di queste cose accade e ci sono una serie di motivi che spiegano la reale situazione dei fatti.
In primo luogo, ogni paese ha le sue aliquote che ogni azienda deve pagare in percentuale sui suoi profitti. Negli Stati Uniti, l’aliquota federale sulle società è del 35%, mentre nel Regno Unito è del 20%. In questo caso, ad Apple converrebbe pagare le imposte britanniche sulle vendite effettuate in Gran Bretagna. Guardandosi in torno, però, i contabili di Apple si sono accordi che era possibile ottenere di meglio.
L’Irlanda ha uno dei tassi più bassi sulle società in Europa, pari al 12,5%. Creando un quartier generale in Irlanda, e inviando lì tutti i soldi delle vendite effettuate in Europa, Apple riesce a pagare meno tasse. Ma non finisce qui. Le imposte sulle società in Irlanda sono così basse perchè il governo spinge per convincere le multinazionali a stabilire le loro sedi nel paese. In questo modo si creano più posti di lavoro e un maggiore indotto di denaro, soprattutto quando si tratta di grandi aziende come Apple. Più grande è l’azienda, più alto è il beneficio per l’economia dell’Irlanda. Addirittura, per aziende molto grandi come Apple e Google, l’Irlanda offre un accordo speciale e fa pagare solo il 2,5% di tasse sui profitti. Si tratta di un tasso di cinque volte inferiore rispetto a quello pagato dalla maggior parte delle altre aziende che hanno sede in Irlanda, senza contare il risparmio rispetto alle aliquote richieste dagli altri paesi europei.
Quindi, piuttosto che pagare il 35% di tasse per il denaro inviato negli Stati Uniti, e invece di pagare aliquote più alte negli altri paesi europei, Apple sposta tutti i proventi delle vendite in Europa in un conto irlandese. E paga solo il 2.5% di tasse.
Dobbiamo sottolineare che tutto questo è perfettamente legale: se Apple ha la sede europea in Irlanda e l’Irlanda chiede di pagare solo il 2.5% di tasse, l’azienda non può far altro che obbedire. Insomma, Apple non ha infranto alcuna legge.
Questo, però, non è probabilmente vero per il governo irlandese. L’Irlanda fa parte dell’Unione Europea, dove vigono una serie di leggi su ciò che gli stati membri possono o non possono fare, anche in materia fiscale. L’UE vieta espressamente agli stati di proporre delle “offerte speciali” alle grandi aziende, proprio per evitare una corsa al ribasso tra i vari governi al fine di catturare l’interesse delle multinazionali. Tali offerte speciali vengono riconosciute come “aiuti di stato” e sono considerate illegali. L’aiuto di stato è un qualsivoglia vantaggio concesso dall’autorità pubblica ad una società, mediate risorse statali che potrebbero falsare la concorrenza e gli scambi all’interno dell’Unione Europea.
Ed è proprio qui che verte l’indagine: l’Unione Europea deve valutare se la concessione fatta dal governo irlandese ad Apple può essere considerata un aiuto di stato. E sarà difficile per il governo irlandese dimostrare il contrario, quando fa pagare ad Apple e Google aliquote del 2.5% invece che del 12.5%. Tra l’altro, offerte simili attivate in Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo sono state già bollate come illegali in bassato.
Da parte sua, Apple non ha infranto la legge, quindi non rischia nulla a livello penale o di altri oneri accessori. Quello che rischia è dover pagare l’aliquota del 12.5% per tutti i profitti registrati negli ultimi 10 anni, quando invece Apple ha pagato imposte del 2.5%. In totale, si parla di circa 8 miliardi di dollari. In pratica, se la Commissione europea deciderà contro il governo irlandese, potrebbe chiedere alla stessa Irlanda di recuperare le imposte passate presso le società interessate, per un periodo massimo di 10 anni.
I rischi per Apple, però, non finiscono qui. Diversi paesi membri dell’UE hanno messo in dubbio la legittimità di far registrare e incanalare tutti i profitti di Apple nella sola Irlanda: per queste nazioni, Apple dovrebbe pagare le tasse in ogni singolo paese in cui sono state effettuate le vendite. Qui entra in gioco anche il fisco italiano, che alcune settimane fa ha già richiesto ad Apple il pagamento di alcune imposte arretrate. In totale, Apple potrebbe ritrovarsi a dover pagare un altro miliardi di dollari di tasse arretrate nei singoli paesi, per un totale di 9 miliardi did dollari.
Dalla sua, Apple afferma di aver rispettato quanto richiesto dal governo irlandese, ma in questo settore, se i calcoli sulle tasse da pagare sono errati, il contribuente è tenuto a rimborsare quanto non pagato in passato. Ed Apple non fa eccezione.
E poi c’è la politica: l’opinione pubblica vuole che le grandi aziende paghino le tasse dovute, visto che i privati cittadini vengono puniti dal fisco anche per pochi euro di ammanco.