Sta facendo molto discutere in queste ore un nuovo disegno di legge già approvato alla Camera e che mette al bando tutti i sistemi operativi chiusi, iOS compreso. Apple rischia di non poter più vendere iPhone nel nostro paese. UPDATE: abbiamo avuto modo di parlare con il deputato Stefano Quintarelli, promotore del ddl.
Come riportato dal Corriere.it, questo ddl potrebbe “bloccare totalmente le vendite degli iPhone“.
AGGIORNAMENTO: per fare chiarezza sulla vicenda, abbiamo avuto modo di parlare con il deputato Stefano Quintarelli.
Fortunatamente, la situazione non è quella dipinta dal Corriere. Come spiegato da Quintarelli, l’unica differenza rispetto all’attuale situazione si verifica soltanto in un caso: se un software lecito che potrebbe essere installato su un dispositivo (in base al suo sistema operativo) fosse escluso in modo discriminatorio, tanto da danneggiare i consumatori. In questo caso, un cittadino italiano potrebbe rivolgersi all’AGCM per far presente la cosa e la sua denuncia seguirebbe le regole sulla tutela del consumatore, che sono più veloci ed economiche. “In pratica” ci dice Quintarelli, “questo ddl porta ad uno snellimento delle procedure rispetto a leggi che non sono state pensate per la velocità del mondo digitale. Da qui a parlare di blocco delle vendite in Italia ce ne passa…”.
Insomma, non c’è alcun rischio per Apple e per le altre aziende che vendono smartphone o altri dispositivi in Italia. L’articolo 4, infatti, dichiara che gli utenti “hanno il diritto di reperire in linea, in formato idoneo alla piattaforma tecnologica desiderata, e di utilizzare a condizioni eque e non discriminatorie software, proprietario o a sorgente aperta, contenuti e servizi leciti di loro scelta. Gli utenti hanno il diritto di disinstallare software e di rimuovere contenuti che non siano di loro interesse dai propri dispositivi, salvo che tali software siano previsti come obbligatori da norme imperative o siano essenziali per l’operatività o per la sicurezza del dispositivo, delle reti pubbliche di comunicazioni alle quali si connette o dei dati gestiti dal dispositivo. È comunque vietata ogni disinstallazione effettuata al solo fine di consentire al dispositivo di funzionare in violazione di norme imperative.”
Questo significa che iOS non è “vietato”, visto che iPhone e iPad necessitano ad esempio di un app “non disisntallabile” come App Store per funzionare al meglio, e viceversa. Inoltre, nel comma 2 dell’art. 4 si legge che “I diritti di cui al comma 1 non possono essere in alcun modo limitati o vincolati all’acquisto o all’utilizzo di alcuni software, contenuti o servizi, salvo che gli stessi non rientrino nei casi previsti dal medesimo comma 1, da parte dei gestori delle piattaforme mediante strumenti contrattuali, tecnologici, economici o di esperienza utente. E l’App Store rientra negli strumenti “di esperienza utente”.
Laddove la legge può intervenire è nel marketing. Ad esempio, se si riesce a dimostrare che un pezzo di software può funzionare correttamente sia su un iPad che su un iPad Pro, ma Apple decide artificialmente di limitarlo al solo iPad Pro per motivi di marketing e non tecnici, allora il cittadino potrebbe fare denuncia all’AGCM. Stessa cosa può dirsi se Apple vietasse di installare Google Maps su iOS, al solo scopo di promuovere la sua applicazione Mappe (lo stesso vale anche per Google e per le altre aziende che producono sistemi operativi e non solo).
Tradotto: l’unico caso in cui si può sanzionare un’azienda è quando viene comprovata l’impossibilità di installare o disinstallare software (in questo secondo caso, solo se il software non è considerato indispensabile per il funzionamento del sistema operativo), e se questo causa un danno all’utente, secondo le norme previste dal Codice del Consumo. Apple, quindi, potrebbe essere sanzionata solo se viola l’articolo 4 del ddl e solo se attua un comportamento che viola anche il Codice del Consimo La valutazione del caso è affidata all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Anche un portavoce Apple contattato da AppleInsider ha smentito ogni rischio, dicendo che il pezzo originale pubblicato dalla stampa italiana “ha interpretato in modo ridicolo la norma“.
Ci scusiamo con i nostri lettori per non aver approfondito prima la questione.
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Anche la parte renziana del PD si dice preoccupata per questa norma, tra l’altro già approvata dalla Camera e che presto sarà votata anche dal Senato. La legge, sostenuta in primis dal Movimento 5 stelle, prevede il libero accesso a software, contenuti e servizi offerti agli utenti e rischia di bloccare i sistemi chiusi, tipicamente usati da Apple sui dispositivi mobile. Una norma di questo tipo rischierebbe anche di rovinare i buoni rapporti tra il governo italiano e l’azienda di Cupertino, che negli ultimi tempi ha investito molto nel nostro paese sia per quanto riguarda gli Apple Store, sia per l’apertura della prima Academy al mondo dedicata allo sviluppo di app iOS.
Questo disegno di legge è stato promosso da Stefano Quintarelli, dei Civici e Innovatori, esperto della rete che più volte ha parlato contro i giganti del web, per chiedere il pagamento delle tasse anche in Italia. Questa proposta, però, c’entra ben poco con il fisco e va oltre.
Tra i critici di questo ddl c’è Sergio Boccadutri del PD: “Il fine della legge può apparire giusto, ma se applicata solo in Italia può produrre una distorsione di mercato enorme e incomprensibile. Sarebbe più corretto attendere la definizione di regole precise europee, perché i servizi digitali non hanno confini nazionali. Altrimenti, è come se avessimo deciso da soli di annullare il roaming soltanto in Italia“. Dello stesso parare anche Sandro Gozi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri: “Non c’è un bisogno assoluto di fare una legge in questa materia, perché è già in gran parte disciplinata dal regolamento. Sarebbe improprio procedere. Abbiamo fatto sapere più volte in via informale a Quintarelli che, se vogliono andare avanti, deve esserci un pieno rispetto del regolamento e non si devono creare situazioni di incertezza giuridica e discipline diverse. Anche perché, in caso di contenzioso, la primazia sarebbe del regolamento europeo“.