Secondo la CNBC, la storia dell’App Store dimostra che Apple non ha mai cambiato strategia da quando il negozio è stato lanciato per la prima volta nel 2008.
Il nuovo report della CNBC sostiene che la strategia di base adottata da Apple per il suo App Store è rimasta quasi del tutto identica dal 2008, visto che l’azienda preferisce combattere le minacce antitrust una regola alla volta.
Di recente, Apple ha apportato diverse modifiche alle regole dello store, attivando commissioni più basse e dando maggiore libertà agli sviluppatori di comunicare metodi di acquisto alternativi per gli abbonamenti. I produttori di app possono infatti contattare, previo consenso, i clienti via e-mail o altri mezzi per informarli e discutere dei metodi di pagamento alternativi, che, se adottati dagli utenti, eviterebbero di fatto le commissioni dell’App Store. La comunicazione in-app su tali argomenti è ancora vietata. Questo significa che un’azienda o uno sviluppatore può inviare un’e-mail ai propri utenti, con il loro consenso, per informarli dell’iscrizione al di fuori dell’App Store.
Secondo la CNBC, se da una parte queste concessioni possono sembrare un cambiamento nell’approccio di Apple alla politica dell’App Store, se esaminate nell’arco della storia del negozio si scopre che sono una chiara continuazione di una strategia che risale al 2008. Storicamente, infatti, Apple ha apportato piccole modifiche alle sue “linee guida”, il famoso documento di 13.000 parole che dice cosa possono e non possono fare le app per iPhone, difendendo al contempo “i suoi interessi principali secondo cui l’azienda ha il diritto di determinare quale software può funzionare sui propri dispositivi iOS e di impostare le proprie condizioni finanziarie per quegli sviluppatori“.
Dal 2008, Apple ha solo attivato eccezioni categoriche alla commissione del 30%, ha consentito agli sviluppatori di impugnare o contestare le sue regole e ha modificato singole regole in risposta a cause legali o all’attenzione dei media.
Il pezzo elenca alcuni esempi nel corso degli anni:
2009: Apple non approva Google Voice, la FCC indaga.
Apple inizialmente sosteneva di avere il diritto di rifiutare sia le singole app che intere categorie di esse, ma poi ha ceduto e approvato l’app nel 2010.
2011: Apple richiede pagamenti in-app per i beni digitali, crea la “reader rule”.
A febbraio, Apple ha richiesto ad app come Kindle di offrire acquisti in-app per i contenuti interni e che il prezzo doveva corrispondere a quello disponibile altrove. A giugno, la regola è stata cambiata: non era necessario offrire acquisti in-app e, se un’azienda lo avesse fatto, avrebbe potuto trasferire ai clienti il costo della commissione del 30%.
2016: Apple riduce la commissione per il secondo anno di abbonamenti al 15%.
Spotify ha sfidato la commissione del 30% di Apple sugli abbonamenti in-app e la società ha risposto riducendola al 15% dal secondo anno in poi.
2019: Apple fa marcia indietro sulle app di controllo parentale, introduce la procedura di ricorso.
Apple ha invertito alcune delle sue politiche sulle app di controllo parentale di terze parti e, di fronte ai continui reclami, ha istituito una procedura di ricorso per gli sviluppatori.
2020: Apple riduce il taglio al 15% per le piccole imprese.
Il più grande cambiamento di Apple ha visto la commissione dell’App Store scendere dal 30 al 15 percento per il 98% degli sviluppatori. Per molti si è trattato di risposta dell’azienda a una causa legale che temeva di perdere.
2021: Due novità.
Apple riduce il taglio al 15% per le app di notizie che partecipano ad Apple News e consente agli sviluppatori di indirizzare gli utenti a sistemi di pagamento alternativi.
I più grandi cambiamenti dell’App Store sarebbero quindi frutto di cause legali o indagini antitrust, mentre la strategia di fondo ideata da Apple non sarebbe mai cambiata. In 13 anni, Apple ha sempre cercato di fare le minime concessioni possibili per tutelarsi da altre cause, anche per evitare danni d’immagine.
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